Il sindacato Cgil e la Fondazione Di Vittorio hanno svolto un sondaggio sullo smart working attivato durante il Covid-19 che riguarda 8 milioni gli italiani. Ecco cosa ne è emerso.
L’82% degli 8 milioni di italiani attualmente in smart working è stato costretto a lavorare in questa modalità dall’emergenza e solo il 31% avrebbe voluto farlo prima.
Nel 37% dei casi il lavoro agile è stato attivato in modo concordato con il datore di lavoro; nel 36% dei casi in modo unilaterale dal datore di lavoro; nel 27% dei casi in modo negoziato attraverso l’intervento del sindacato.
Il 60% dei lavoratori vorrebbe continuare anche dopo a lavorare con questa modalità, anche se non tutti i giorni e non sempre da casa.
Sono emersi anche dati relativi alle difficoltà: per il 31% degli intervistati risulta alienante e stressante rispetto al lavoro dall’ufficio. Dall’altra parte fa risparmiare i tempi di spostamento casa lavoro e fa azzerare le opportunità di molestie sul lavoro.
Per lavorare da casa occorrano competenze specifiche. Nella maggior parte dei casi tali competenze erano già sviluppate, come ad esempio l’uso di strumenti e tecnologie informatiche: il 69% le aveva già ma il 31% non ne era in possesso. È diffuso il possesso del pc prevalentemente fornito dall’azienda per gli uomini e personale e/o in condivisione con altri in casa per le donne, dello smartphone e delle cuffie. Meno diffusi tablet, e stampanti (di più tra gli uomini che tra le donne).
E’ importante sottolineare per concludere che lo smart working non può essere lavoro da casa, deve essere regolato, deve essere lasciato spazio alla flessibilità e all’auto organizzazione.
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