Lo smart working è una modalità lavorativa che fino allo scoppio dell’epidemia Coronavirus era ancora molto poco diffusa tra le aziende italiane.
In questa prima fase, si è creato un po’ di scompiglio su diversi fronti: su quello delle modalità di riorganizzazione del lavoro, sul controllo delle performance, sul diritto alla disconnessione, sul contributo aziendale per lo smart working, su eventuali variazioni nei contratti.
Una regolamentazione in merito, però, esiste già e risale al 2017, con la legge 81.
Inoltre, per agevolare l’attivazione dello smart working da parte delle aziende nella maniera più rapida e semplice possibile, per il periodo di emergenza il Governo ha introdotto una procedura semplificata, che consente l’attivazione del lavoro agile per i dipendenti senza la necessità di stipulare un accordo individuale tra le parti.
I temi di discussione sul lavoro agile
La scarsa conoscenza dello smart working ha fatto scaturire diversi dubbi e molti nodi di discussione circa le modalità di attuazione e la regolamentazione di questa nuova modalità lavorativa. Ecco i principali:
- L’orario lavorativo, ovvero quanto può essere dilazionato e quanto può essere flessibile
- Il controllo del personale, ovvero il controllo della produttività delle risorse umane
- Retribuzioni, permessi, ferie: lo smart working non implica e non può implicare l’eliminazione di permessi e ferie, e anche la legge chiarisce ogni dubbio sul fatto che non debbano esserci differenze in merito a retribuzioni, ferie e permessi tra lavoratori in smart working e lavoratori che operano presso la sede aziendale.
- Il diritto alla disconnessione: questo tema va di pari passo con quello dell’orario lavorativo. L’argomento di discussione è stato proprio in merito a quale fosse il punto fino al quale un lavoratore in smart working, essendo libero di dilazionare l’orario lavorativo, sia in dovere di essere reperibile.
- La strumentazione in dotazione: è stato il cruccio di molti durante la prima settimana di lavoro da casa. Moltissimi lavoratori si sono dovuti organizzare per creare uno spazio adatto al lavoro all’interno della propria abitazione.
Il contributo aziendale per lo smart working
Veniamo all’ultimo punto, ovvero quello della strumentazione in dotazione. Alcuni lavoratori si sono recati in ufficio per prendere e portare a casa strumenti come il computer, il mouse, un paio di cuffie professionali, un monitor aggiuntivo. Molt altri, invece, hanno dovuto dotarsi individualmente di tutti gli strumenti e gli accessori necessari per poter lavorare correttamente da casa. Ma a quale prezzo?
Se da un lato è vero che per attivare il lavoro agile bastano pochi strumenti, come un computer e una connessione ad internet, non bisogna sottovalutare tutte le necessità connesse a questa modalità lavorativa, che può richiedere l’uso di una sedia ergonomica, delle cuffie per le conference call, dei cavi di rete, una webcam esterna, un microfono e via discorrendo.
Ma non solo, anche i consumi rientrano tra le spese che molti lavoratori hanno dovuto sostenere: se è vero infatti che ormai molti hanno una connessione ad internet a casa, alcuni ancora non ne avevano una perchè utilizzavano quella della propria sede lavorativa. O ancora, hanno dovuto passare ad un servizio di un livello maggiore perchè la qualità non era adeguata per lavorare in maniera corretta. Tutte queste spese devono essere a carico del dipendente? La risposta è no. Le aziende, devono assumersi gli oneri di produzione come avviene nella sede lavorativa e non devono essere quindi a carico dei dipendenti.
Se il lavoro agile, terminata la fase di emergenza, dovesse diventare una modalità lavorativa strutturale dovrà essere sottoposto a tutti gli obblighi per i datori di lavoro come prevede il lavoro nella modalità più tradizionale.
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