Parlando di Industrial IoT, viene spontaneo pensare principalmente ai macchinari, ai reparti di produzione, ai sensori industriali e a tutta una serie di cose, tendenzialmente tecnologiche, che hanno a che fare con le macchine. Negli ultimi anni, però, il concetto (se così vogliamo chiamarlo) di Industria 4.0 ha rimesso al centro anche la persona.
Parliamo quindi di Industrial IoT per la persona.
Ad oggi, la maggior parte dei progetti di integrazione che sfruttano le tecnologie di Industrial IoT, puntano principalmente ad obiettivi che hanno a che fare con le rese di produzione, con la manutenzione, con il miglioramento dei processi e con tutta una serie di cose che non riguardano la persona fisica.
L’evoluzione tecnologica, tuttavia, può e deve essere utilizzata anche per migliorare molti aspetti della vita lavorativa della persona; aspetti che possono andare dalla salute alla sicurezza sul luogo di lavoro.
Sono in crescita, infatti, i progetti che prevedono l’utilizzo di strumenti, hardware e software, mirati all’analisi delle condizioni di lavoro del personale sul campo e alla salvaguardia della loro incolumità.
Sfruttando quelli che vengono definiti wearable devices, o dispositivi indossabili, questi prodotti permettono il monitoraggio delle condizioni fisiche dell’operatore.
Parliamo di classici strumenti di protezione, come i caschi di sicurezza, che montano, al loro interno, dispositivi elettronici in grado di rilevare un urto o una caduta e, trovandoci nel mondo dell’Industrial IoT, questi sono per definizione connessi.
Ed è proprio la connessione che gli conferisce ulteriore valore in quanto l’informazione rilevata, subito trasmessa ad una piattaforma di monitoraggio, magari unitamente ad un segnale di posizionamento GPS, permette un tempestivo intervento del personale di soccorso.
Volendo spingerci ancora più a fondo, possiamo trovare dispositivi che, analogamente ad alcuni smartwatch, sono in grado di rilevare molti parametri fisici come, per esempio, il battito cardiaco e l’attività elettrodermica.
Queste informazioni, opportunamente analizzate, possono essere utili non solo per la sicurezza, ma anche per il miglioramento della condizione lavorativa.
Esistono infatti software che, grazie ai sopracitati apparecchi, possono determinare, con un buon grado di correttezza, lo stato di “agitazione” o di stress di una persona.
Qui, come sempre, entra in gioco la centralità del software: se da una parte l’evoluzione degli apparecchi fisici e la loro miniaturizzazione gli permettono di essere indossati e di comunicare tramite molti tipi di reti oggi disponibili, dall’altro abbiamo, e avremo sempre più, bisogno di analizzare i dati che questi strumenti sono in grado di raccogliere.
Le piattaforme di analisi del dato sono chiamate, oltre che alla raccolta e all’analisi, a fornire risposte; queste saranno poi utilizzate per migliorare la condizioni più critiche.
Per poterlo fare, però, dobbiamo considerare un altro aspetto di fondamentale importanza: l’integrazione.
Non potrà essere infatti un unico software, o un’unica piattaforma, a fornirci tutte le risposte che cerchiamo: per raggiungere l’obiettivo dovremo fare in modo che diverse piattaforme possano comunicare tra loro.
Per meglio comprendere il concetto di integrazione, vi lascio con un esempio che, anche se potrebbe sembrare banale, viene già utilizzato in diverse realtà.
Il dipendente Stefano, per recarsi al lavoro, compie tutti i giorni un tragitto di 60 km. Dovendosi però spostare spesso presso le sedi di diversi clienti, compie anche altri tragitti. Dato che l’azienda per la quale Stefano lavora, come tutte le aziende, deve guardare alla “resa” e alle performances, in che modo potrebbe aiutarlo a rendere di più (e magari a rendere più piacevole il suo lavoro)?
Stefano indossa un dispositivo che rileva lo stress.
Questo dato, da solo, non ci dice nulla.
Ma se la piattaforma che rileva il dato lo mettesse in relazione ai sui spostamenti?
Sarebbe ancora troppo poco.
Se quella piattaforma potesse conoscere anche le informazioni sul traffico durante i suoi tragitti?
Ecco, adesso ci stiamo avvicinando; ma proviamo a spingerci oltre.
Inseriamo nel contesto uno strumento come, per esempio, MyAnalytics che, partendo dal
calendario delle nostre attività, ci fornisce informazioni sulla nostra resa lavorativa.
Voglio esagerare: la macchina è dotata di un dispositivo che ne registra velocità, potenza di
frenata e traiettorie (lo stile di guida, diciamo).
Ora mettiamo tutto insieme.
Tutti questi dati, presi singolarmente, non ci dicono quasi nulla; ma nel momento in cui le mettiamo in relazione tra loro, ecco che avviene la magia.
Stefano potrebbe scoprire che il suo stile di guida cambia in funzione, per esempio, del traffico e dell’orario; appuntamenti ad orari diversi e una diversa pianificazione degli incontri potrebbero migliorerebbero molto la sua condizione.
Il software potrebbe suggerire, con l’andare del tempo, cose del tipo: “hai preso un appuntamento a Lodi giovedì mattina. Negli ultimi mesi, in quella fascia oraria, il traffico è sempre stato molto
intenso. Prova a pianificare l’incontro in un altro momento”.
Ecco, è questo che mi aspetto dal software.
Mi aspetto che interagisca con il mondo fisico e con altri software per migliorare la mia condizione di essere umano nello svolgimento delle mie mansioni.
Sono centinaia gli scenari che potrebbero aprirsi da una situazione come quella sopra descritta, ma lascio a voi il piacere di ipotizzare altre applicazioni.
Ovviamente tutto questo ha un grosso impatto in termini di privacy, ma sarà argomento per le prossime occasioni.
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